Di Dalila Sansone
Mizar e Alcor sono due stelle compagne della costellazione dell’Orsa Maggiore. Mizar si vede, è la seconda stella del braccio del carro, a destra, la stella primaria; Alcor invece no, distante anni luce, legata alla compagna dall’appiattimento prospettico della volta celeste dispersa sulla retina degli occhi. Distinguerle è un test di capacità visiva.
Stelle compagne.
Distanti anni luce.
Distinguerle.
Come è che si “vede” qualcosa? Per vedere serve conoscere e quindi andare a cercare oppure avere una vista più potente dell’intelletto, capace di catturare quello che lui non cerca.
Scivolando sulle parole, scegliendole, andando ostinatamente alla ricerca di un senso al bisogno di esprimersi, mi sono chiesta a cosa servisse, se quello sforzo non fosse fine a sé stesso e destinato ad esaurirsi come la luce fioca di una candela su un tavolo apparecchiato a festa. Poi ho pensato ad Alcor, a quella stella distante e compagna ed allo stupore di vederla, riuscire a distinguerla, così ho capito il senso. Le cose, i sentimenti, le emozioni semplicemente esistono, poterle rappresentarle equivale a vederle, a distinguere Alcor da Mizar, anche se Alcor resta comunque lì in un punto infinitamente lontano di un universo spaventosamente grande.
L’errore che compiamo spesso e voler cercare Alcor nei codici in cui abbiamo confezionato l’arte, o l’espressione, e non riuscire proprio a vederla quando riluce in altro,che sia gesti, parole non dette, assenze ferite o presenza costante. Non riusciamo a vederla ma ne avvertiamo la presenza: è un corpo e come tale ha un campo gravitazionale ed i campi gravitazionali non sono che concentrazioni di forze. Le forze non si vedono, agiscono, e quello che non si vede ma si sente, d’istinto spaventa. Se provassimo più di frequente ad andare oltre all’istinto che spaventa, non distogliendolo lo sguardo, vedremmo Alcor e scopriremmo molte più stelle compagne.
Alcune cose accadono per caso, altre se si impara ad accettare che possano farlo.
Anche questa è poesia e non ha bisogno di poeti, nemmeno di parole per scriverla, bastano occhi disposti a vederla.
Dalila
Domenica 25 Marzo
E così mi congedo, lascio scivolare via questa settimana con una canzone che ho puntualmente ritrovato nei mille rivoli di inquietudine con cui ho intessuto i miei anni, né troppi, né pochi, i miei … quando tutto crollava e serviva un’ancora, un’assoluzione ai sensi di colpa, quando un senso postumo, intriso di forzata ragione, era ancora troppo prematuro.
Ogni volta che ho cercato la voce di Niccolò Fabi, mi sono messa a guardare indietro ed ho deciso che i fallimenti erano solo punti di ripartenza, gli inizi il colore che avevo dato alle cose e tutto il resto, quello che ho potuto fare di me, giorno dopo giorno, fino a quel momento.
Nessuno smette di costruire anche quando si sente demolire da un Caterpillar e credo non sia necessario esserne coscienti, “rinunciando alla perfezione” e vivendo, vivendo proprio tutto, più forte che si può!
E’ stato un piacere!
Dalila
Ciurmaaaaaaaa!!!! Svegliaaaaaa!!!!!
Tutti a raccolta, ci siamo, saltate giù dal letto, fate una colazione come si deve e preparatevi: oggi andiamo in giro a regalare poesie. E’ un compito a cui il cuore impavido di un pirata non può sottrarsi!
E’ preciso dovere della pirateria rompere gli schemi del grigiore emotivo e scombussolare le strade con la luce ed il tumulto dell’emozione. Impugnate le poesie! Alle armiiiii, pirati!!!!
Quanto sarà stato bravo Bennato a dipingere questo fellone come un poetico eroe romantico decadente?
Vi aspettiamo, puntuali alle 16.00 In Piazza San Jacopo.
Fossi in voi non contrarierei troppo Capitan Uncino!
Dimenticavo…pardon…Buongiorno!!
D.
Sabato 24 Marzo
De Andrè doveva esserci, perché sono io che scelgo, perché è di poesia che si parla e perché nella musica di quello che è stato un uomo fatto di carne c’è un sapore di verità, di assoluto che nemmeno il concetto di fede riesce ad eguagliare. Il modo in cui utilizzava le parole ne faceva un demiurgo della lingua, una lingua che serve ad abbattere i limiti fisici ed interiori della comprensione. Le cuciva una all’altra con l’ago della passione ed il filo sottile del sentimento che non prova vergogna di sé, per vestire chi lo ascoltava di quella parte del proprio essere, incapace di vedere. E’ questo Fabrizio De Andrè, vestirsi di quello che non avremmo saputo dire.
E’ stato difficile scegliere ma era giusto fermarsi sull’Antologia di Spoon River ed onorare la libertà, quella di vedere, quella di essere, quella di non scegliere mai il rimpianto come compagno.
“E allora possiamo concludere con la vecchia proposta di Masters, che a trionfare sulla vita è soltanto chi è capace di amore?“, aveva chiesto la Pivano. “Sì, a trionfare sono i ‘disponibili’”, aveva risposto Fabrizio.
D.
Buon risveglio!
Un risveglio dolce che le tradisce tutte le mie origini. Questa versione calda e profonda, come un abbraccio, voglio condividerla con voi stamattina. Un duetto inaspettato, parole più che note eppure, vedete, anche quello che sembrava non dover più stupire, può così, ritrovato all’improvviso e vestito con abiti diversi, scavare un solco nuovo infondo al cuore.
Vi auguro un sabato lento, profondo quanto un abbraccio dato senza ragione, solo per amore.
D.
Venerdì 23 marzo
A passi lenti verso il fine settimana, mi congedo in questo tardo venerdì pomeriggio con la voce graffiante di Tom Waits e uno spunto di riflessione sulle sue parole … è più folle un amore che non teme di essere corrisposto o un amore non corrisposto per incapacità? Io non ho dubbi a riguardo e mi sembra infinitamente desolante quest’immagine di un uomo solo, che trascina se stesso di lettera in lettera, lettere ricevute alle quali non riesce a rispondere senza per questo essere più felice.
“and it takes a lot of whiskey
to make these nightmares go away
and I cut my bleedin’ heart out every night
and I die a little more on each st. valentine day
remember that I promised I would
write you… “
D.
#TomWaits #BlueValentine #Poesia #RadioConcreta #BuonaSera #BuenasTardes #GoodNight #SegniConcreti
Buongiorno!
Ben ritrovati!!
Stamattina andiamo a cercare altro, cambiamo prospettiva lasciando la dimensione privata o la passione civile e guardiamo le cose dall’alto, cercando di mettere a fuoco i punti a distanza, catturando gli angoli delle strade, i ripari contro i muri, le vite sparpagliate senza senso alla ricerca di una direzione.
Bruce Springsteen canta le strade degli anni ’90 così poco dissimili dalla polvere di quelle di un’America poco più distante, vivisezionate da Steinbeck in Furore (se non lo avete mai letto, scrivete subito un post it per ricordarvi di andare il libreria)… ascoltate la voce del fantasma di Tom Joad, non viene da lontano, sta negli edifici dimenticati di tutte le città, sui barconi inghiottiti dal mare di notte, intorno a tutti i fuochi accesi che scaldano a fatica, lungo gli argini dei fiumi, quelli che non si inquadrano per le foto ricordo.
Giovedì 22 marzo
Passione. E’ una parola carica di tensione, ha l’effetto dell’aria tesa di pioggia prima che si scateni un temporale, quando l’istinto ti porterebbe a cercare riparo ma il magnetismo che si propaga ovunque, ti tiene inchiodato nel punto esatto dove ti trovi. E’ troppo spesso vilipesa la passione, azzoppata, ridotta a poco più che gradino più alto e irrazionale del sentimento … no, chi è nato sopra terra di vulcano lo sa bene cos’è la passione: il sangue che scorre più forte nelle vene, il calore che la dilatazione delle pareti delle tue vene ti scoppia addosso, incontrollabile. La passione autentica non si contiene, non ci sono argini che tengano se non è passione blanda, scolorita, è lava nelle viscere di vulcano, può scegliere di stare quieta ma se non lo vuole fare, esplode.
Gli Avion Travel l’hanno saputa rappresentare la passione, con maestria, suonando il teatro e recitando la musica … e sono tutti nati sopra terra di vulcano questi signori qua!
Damien Rice ha qualcosa che faccio fatica a spiegare, posato, lo sguardo fermo nonostante quei testi, le parole che escono fuori dalla sua bocca, il suono della chitarra. Non sono facili i suoi testi, non evocano nulla di rasserenante eppure sprigionano una forza difficile da descrivere, un’insieme di sensazioni che non si districano in alcun modo. E’ come se raccontasse dall’esterno di una lotta continua con se stesso, con quello che prova e non può essere ignorato e, poi accarezzando le corde, riuscisse a stabilire una tregua e dire quello che ogni giorno, imbevuti nelle situazioni e dilaniati da conflitti, non si riesce a tradurre in nessuna forma comprensibile, ne a sé stessi, ne agli altri.
E’ onesto Damien Rice, ha gli occhi puliti e ha rinunciato a tutti i filtri per non dovere decidere chi essere, per esserlo e basta. Solo un uomo così può riuscire a dire:
“So come let me love you
Come let me love you and then color me in”
Semplice. Pulito.
Buogiorno!
D.
Mercoledì 21 febbraio
“…E non aver paura,
non aver mai paura di essere ridicoli,
solo chi non ha scritto mai lettere d’amore
fa veramente ridere”
Vecchioni/Pessoa
Le lettere d’amore parafrasa in musica “Todas as carta de amor”di Álvaro de Campos, che Pessoa proprio non riusciva a limitarsi nel segno grafico del suo nome a confinarsi in una sola identità tanto traboccava di mondi, di vite immaginate, vomitati ossessivamente sui fogli (“tutti quelli che scrivevano per lui lo lasciarono solo, finalmente solo”).
Le lettere d’amore è vero sono ridicole, quando ritrovi quelle che hai scritto non riesci a fare a meno di sorridere dell’urgenza che ti spingeva a scriverle … per tanto tempo le mie non ho voluto nemmeno rileggerle, fino a quando ho fatto pace con tutte quelle parole precipitate in assordanti silenzi, con quei tentativi maldestri di spiegarti, di rendere vivo quello che ti faceva sentire viva. Si, non si può aver paura di essere ridicoli, non c’è niente di ridicolo nell’essere quello che si prova. Nelle lettere d’amore il tempo è sospeso, l’amore riesce a restare anche quando è finito.
Scrivere, si scrivere perché quando scrivi, quando non scrivi per te, è solo allora che vivi.
#RobertoVecchioni #Pessoa #DeCampos #LeLettereDAmore #TodasAsCartasDeAmor #Poesia #RadioConcreta #Buonpomeriggio #BuenasTardes #GoodAfternoon #SegniConcreti
Di nuovo buongiorno, bentrovati…
Stamattina ho voglia di parlarvi, per lo spazio esiguo di un post, di lui, Victor Jara.
Era uno dei tanti artisti, degli uomini e delle donne di ogni estrazione sociale che hanno animato il riscatto civile del Cile, con il quale si giunse all’elezione presidenziale di Salvador Allende nel 1970.
L’11 settembre del 1973, mentre gli aerei bombardavano il Palazzo della Moneda a Santiago del Cile, Victor Jara veniva arrestato e trasferito all’Estadio Chile, un campo di tortura a cielo aperto, una vergogna ignorata dai Paesi “civili” che ancora dovevano ricevere istruzioni sul come considerare quegli assassini in divisa militare. Gli spezzarono i polsi prima di ucciderlo, perché non potesse più scrivere ma dall’Estadio Chile, le sue ultime poesie uscirono comunque e gli sopravvissero, si sono levate più in alto dell’orrore e dell’infamia.
Ero una studentessa con i maglioni infeltriti e i pantaloni troppo larghi, vestivo una taglia sbagliata per il mondo a quel tempo e pensavo spesso a questa meravigliosa gente che non ha avuto timore di perdere la vita, per il desiderio di viverla davvero. Ancora adesso, quando la pioggia mi bagna i capelli, penso ad Amanda e a quella vita che le sembrava eterna, nei cinque minuti di cammino che la separavano dalla fabbrica di Manuel.
D.
Martedì 20 febbraio
Prima di un esame, un concorso, una di quelle cose che in qualche modo potrebbero cambiare il corso dei tuoi giorni e che il più delle volte non hai nemmeno scelto, quando l’orologio e la stanchezza ti dicono che il tempo è scaduto e non resta che aspettare che il momento arrivi, chiudo tutto e ascolto questa canzone. Lo ammetto, preferisco altro quando decido di mettere su i Pink Floyd ma a questo rito non sono riuscita a rinunciare mai.
Wish you were here … un “vorrei che fossi qui” bisogno fisico di presenza, di spazio vuoto che si riempia e senza ricorrere alle parole ti dica che andrà tutto bene, che comunque ce la farai.
Mi sento persa in una palla di vetro, una che nuota stancamente nelle stesse vecchie paure e quando David Gilmour la descrive questa immagine, mi sorprendo a desiderare che qualcuno le mandi in frantumi tutte queste pareti di vetro, il più vicino possibile al mare.
Buonanotte!
Unplugged.
D.
“Vale la pena lottare solo per le cose senza le quali non vale la pena vivere” Ernesto Guevara del la Serna, Che.
Perché il Che, Silvestri e proprio questa canzone? Perché il primo è il più grande poeta che io conosca ed il secondo un giocoliere della lingua, tra i pochi che hanno fatto poesia in musica, con alcuni dei suoi testi e Choiba li mette insieme.
Della poesia non va cercato solo il lato intimista, è poetico ogni tentativo di tradurre in concreto ciò che anima uno spirito e direi non ci siano dubbi sui “tentativi” di quella “voce chiara ed argentina”.
Provate a rileggere i suoi scritti, cercatele le poesie che scriveva per la compagna e conservava nello zaino, nascondendosi negli anfratti dei Paesi assetati di libertà che lo chiamavano, e soffermatevi poi un attimo sulle righe che ha lasciato ai figli. La più grande eredità di quello che io definisco un poeta prima che un rivoluzionario è la consapevolezza che solo il cuore può sostenerti davanti all’impossibile.
Venceremos, adelante!
D.
Bonjour!
Stamattina quando mi sono svegliata, tutta questa pioggia mi è venuta proprio a noia, dovevo scrollarmela di dosso … bon, allor on part .. canticchiando con Camille sulle note di questo gioiellino tratto dal “Piccolo Principe” di Mark Osborn.
Anche qui poesia, quella di un incontro inaspettato, di un inciampo fortuito nel giardino di un vicino, dello spazio lasciato alla fantasia.
Quando vi trovate davanti un muro, fate finta che non ci sia; non c’è ragione per non pensare (sognare, se volete) di poter stare dall’altra parte e, soprattutto, osate perdervi qualche volta, magari senza voler essere certi di ritrovare la strada per tornare indietro!
“Plus de question qu’on ose,
ouvrir enfin les bras!
S’perd,
c’est si bon quand on s’perd…”
“Basta con le domande, osiamo
Apri le braccia finalmente!
Perdersi, è così bello quando ci si perde…”
Sorriso,
D.
Lunedì 19 febbraio
Buona sera a tutti!
Chiudiamo questo primo giorno insieme con una poesia in musica, perfetta per l’inizio della sera, quando le ombre lunghe si sono dissolte nel buio e il tempo inizia a correre più lento e scordandosi della sua fretta, qualche volta, ci lascia trovare spazio per far riaffiorare i ricordi, rimasti da qualche parte nei troppi angoli della memoria. Fate attenzione ai testi quando ascoltate Cohen, era un poeta elegante, sapeva vivisezionare con lucidità le emozioni, anzi più che le emozioni i sentimenti (ricordiamocela la distinzione che ne faceva Bauman quando diceva che le emozioni passano, i sentimenti, invece, restano) e poi li incastonava come gioielli dentro a musiche potenti, perché isolati e sfaccettati, quasi fossero pietre preziose, potessero splendere di luce nuova.
Con questi versi stupendi, la mia prima buonanotte!
D.
“I said there’d been a flood.
I said there’s nothing left.
I hoped that you would come.
I gave you my address.”
La musica poi cos’è, in certi pezzi, se non un involucro etereo che avvolge le parole e le fa scivolare più dolcemente addosso. Una discesa lenta non per arrivare ma restare ad ogni passo del percorso.
Tutto l’album “Fausto canta Stefano” ha questo sapore, mescolato a una sensazione tattile, raso pelle. La chitarra di Mesolella non ha mai suonato da fuori per arrivare dentro … cattura l’anima, l’ammalia e la trascina fuori perché tu la senta vibrare sulle corde, sotto le sue dita.
Tulipani è il mio pezzo preferito di un album bellissimo in cui le poesie di Stefano Benni diventano musica, attraverso chitarra e voce di Fausto Mesolella. E manca Fausto, maledizione se manca!
D.
Allora eccomi qua! Buongiorno e buon inizio settimana a tutti!!
Mi è stato chiesto di accompagnarvi in musica verso la Giornata Mondiale della Poesia che qui arriva il 25 Marzo, un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, come questa primavera un tantino distratta.
Partiamo con un omaggio alla poesia, ad un immenso artista ed al regalo (perché “Il Postino” è un regalo all’umanità) in cui ha voluto mettere cuore e nome Massimo Troisi.
Ditemi se non è poesia l’incontro di due uomini diversi, un poeta e un postino davanti al mare, se non lo è un’amicizia che ha camminato sui versi per trasformarsi in vita. Ditemi se non è poesia il mescolarsi di vita vissuta e sognata, parole per raccontarla e rumore delle onde del mare.
La poesia è ovunque e l’ultimo posto dove cercarla è una pagina scritta. Questa settimana cercatela negli occhi di chi vi parla o a cui parlate, negli scorci rubati a una finestra di un luogo qualunque, in ogni istante in cui vi accorgerete di starci dentro al vostro tempo.
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve!”
Dedico questa settimana alla dolcezza complice della vita di Massimo Troisi.
Dalila