Dentro di me porto tutti i miei volti passati come un albero i suoi cerchi. La loro somma sono “io”.
Lo specchio vede solo il mio ultimo volto, io sento tutti i miei precedenti.
Quali sono state le tue prime letture?
Qual è il tuo libro importante della maturità?
Quali sono gli ultimi libri “belli” che hai letto e che vorresti consigliare ai nostri ascoltatori?
E infine: c’è una frase o una parola che porti con te?
Ogni mese, ad amici e conoscenti e a tutti coloro che vorranno, rivolgeremo queste quattro domande invitandoli a raccontarsi.
Ci scambieremo letture, storie, ricordi ed emozioni. Passioni e relazioni (di “carta” e non solo).
Questo mese Lorenzo Luatti si racconta e ci racconta: Palomar di Italo Calvino.
o iniziato “tardi” a leggere libri. Da ragazzino mi piaceva stare all’aria aperta, correre dietro un pallone, gironzolare per la campagna, o semplicemente chiacchierare del più e del meno con gli altri ragazzi. Perdere tempo, o meglio, prendersi il tempo.
Alcuni anni fa, chiedendo agli insegnanti quale fosse il loro “ultralibro”, cioè il loro libro dell’infanzia (o della pre-adolescenza), insomma il libro di “formazione” che in qualche modo ti “segna”, ho dovuto chiedermi, inevitabilmente, quale fosse il mio.
Dapprima non trovavo nulla. Poi, piano piano, i ricordi sono affiorati e allora ho capito. Ho capito perché avevo rimosso quella che era stata, da preadolescente, la mia grande passione di lettura. I fumetti.
I fumetti li avevo proprio rimossi, quasi non fossero libri e letture degne di essere ricordate.
All’epoca (siamo negli anni ’70) li nascondevo perché molti adulti ancora, a scuola e a casa, consideravano i fumetti “robaccia” da non frequentare; li avevo nascosti a tal punto che erano scomparsi dalla mia memoria di lettore. Quando si dice la forza dei pregiudizi!
Ho ancora un paio di scaffali d’armadio con centinaia di Zagor, Blek Macigno, il Comandante Mark, la scuderia Bonelli, per intenderci. Più grandicello mi sono appassionato alle storie a fumetti che pubblicava la rivista Lanciostory, l’Eternauta su tutti. Ma il libro che in quegli stessi anni lessi e rilessi fino allo sfinimento fu un meraviglioso volume, di grande formato, cartonato e strapieno di illustrazioni a colori: l’Enciclopedia del Rock della Fabbri editore, uscito nel 1976 (vado a memoria) e che mi feci comprare dal babbo dopo mie prolungate implorazioni. È stata la mia guida, il mio vangelo, musicalmente parlando, fino ai primi anni ’80.
Poi sono diventato un “grande lettore”. Dai 20 ai 40 in pratica non ho mai smesso di leggere, soprattutto letteratura, classici e contemporanei, italiani e stranieri, ma anche tanta saggistica; ore e ore, giornate intere dedicate alla lettura, che organizzavo seguendo un mio personale itinerario di ricerca tra autori, libri, scene letterarie…
i è difficile, dunque, dire qual è il mio libro “importante”. Ce ne sono molti, come è giusto che sia. Ho però un autore importante di cui credo di aver letto tutto: Italo Calvino. Un suo libro, in particolare, mi ha fatto compagnia negli anni, a cui di tanto in tanto ritorno.
Palomar (1983) è un testo dalla foliazione contenuta, con molti racconti e un unico protagonista. È un libro non facile e per nulla rassicurante, fitto di pensieri, riflessioni e domande sul senso dell’esistenza, sull’inadeguatezza e sulla precarietà umane, sull’impossibilità di trovare risposte pronte, definitive, univoche.
Il signor Palomar, il protagonista e voce narrante, è in continua ricerca. Cosa cerca? Apparentemente niente di preciso. Osserva cose, animali, persone insomma tutto ciò che gli capita davanti allo sguardo, si sofferma su minimi particolari, e da questo suo attento osservare, formula domande e ipotesi, si interroga, e alla fine giunge ad una sua personale interpretazione dell’universo. E proprio quando sembra aver fatto ordine e chiarezza, ecco che quell’ordine e quella chiarezza mostrano tutta la loro precarietà; si rivelano problematiche e sfuggenti. E così l’incertezza e il dubbio riprendono il sopravvento.
Ciò che importa, sembra dirci il signor Palomar semplificando non poco il suo pensiero, è mettersi in cammino, cercare una strada anche se l’approdo non è scontato e neppure possibile o dato.
Avrò letto alcune sue pagine centinaia di volte sempre con grande godimento: ricordo benissimo “La pantofola spaiata”, “Il seno nudo”, “Il gorilla albino” e soprattutto, nell’ultima parte del libro, quelle dedicate ai silenzi di Palomar, “Del mordersi la lingua”, “Del prendersela coi giovani” (bellissimo e verissimo!) e infine l’intensamente malinconico “Come imparare ad essere morto”. In Palomar mi sono rispecchiato più volte, trovando nel suo approccio “filosofico” le non-risposte che cercavo.
Continuo a leggere. Oggi frequento soprattutto i libri per bambini e per ragazzi, contemporanei e, per ragioni di studio-lavoro, della fine ‘800 e del ‘900. Credo di aver recuperato abbondantemente ciò che non lessi durante l’infanzia e l’adolescenza.
è un libro che mi sentirei di consigliare, un libro per ragazzi e per adulti dai 10 ai 90 anni; è un graphic novel, a mio avviso, tra i più belli e commoventi usciti nell’ultimo decennio, introvabile da anni. È stato recentemente ristampato: i curiosi potranno saperne di più a questo link
http://www.giuntiscuola.it/sesamo/in-classe/racconti/non-esiste-un-sogno-troppo-grande-da-realizzare/
na frase che porto con me? Mi è più difficile rispondere a questa domanda.
E allora senza pensarci troppo scrivo
“Who knows where the time goes”
cantava Sandy Danny alla fine dei ’60.
Una questione degna del sig. Palomar.
Format. Segni Concreti ©.