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Le foreste insegnano, le foreste suggeriscono – #ConcretaMente

Di Dalila Sansone 

 

“L’uomo civilizzato non pensa più alla natura come all’ambiente in cui inserire una vita sociale, ma a ciò che per antonomasia le si contrappone. La natura, per lui, è in molti casi più vicina al sogno che alla realtà. Eppure se è vero che le radici degli uomini non sono così lontane da quelle degli alberi, è necessario andare oltre il sogno. La via da percorrere è quella del recupero di un rapporto armonioso, tagliando agli estremi dell’aggressione e del sacro rispetto della natura vergine”
Marco Paci, Le Foreste della mente – Quello che ci insegnano e quello che ci fanno immaginare
 

E’ indubbio che ci sia un ritorno, un “bisogno” di ritorno alla natura, risultato forse di una mancata produzione di senso da parte dei modelli sociali imperanti, più probabilmente conseguenza di una sinergia di cause tra le quali l’attrazione per l’autenticità gioca un ruolo decisivo.

La partita è interessante ma rischiosa. Potremmo non accorgerci che ci stiamo giocando un’occasione.

Marco Paci, docente di Ecologia presso l’Università degli studi di Firenze, è un ricercatore che di interazioni funzionali e di problematiche legate agli ecosistemi naturali né sa. Negli anni ha accompagnato al lavoro di ricerca strettamente scientifico, un’attività di divulgazione di straordinario pregio. Utilizzando esempi semplici è riuscito a tradurre il linguaggio scientifico in narrazione accessibile a tutti, dai bambini ai grandi.

 La natura è complessa quanto semplice da comprendere, basta impararne la lingua.

Foreste casentinesi

Photo Credit In Quiete Cooperativa

E’ da questo principio di base che Paci parte in rassegna di quello che le foreste sono in grado di insegnare alle società degli uomini e di quello che suggeriscono anche. L’approccio scientifico e quello che lui definisce antiscientifico (e che può definirsi umanistico, senza difettare in dignità) non sono antitetici ma complementari. Se si conosce la natura, e se ne apprendono i meccanismi che ne regolano le dinamiche, niente del suo fascino perde consistenza; al contrario sarà possibile riconoscersi parte di una dimensione universale che ha poco a che fare col misticismo ma praticamente tutto con la realtà. L’esigenza di ritrovare una misura più autentica dell’esistenza, attraverso il contatto o la riconnessione con i ritmi naturali, non va vista come alternativa o scelta contrapposta all’antropocentrismo bensì come possibilità di una sua integrazione e mitigazione.

E’ questo il potenziale enorme insito nella contemporanea attenzione alle foreste e all’ambiente in generale.

Se si sposta l’attenzione dalle ragioni (molteplici e complesse) alle conseguenze, è evidente che si sta aprendo la strada un recupero di consapevolezza che non ha e non deve avere niente a che vedere con la negazione o l’opposizione ma, al contrario, va in direzione della riscoperta di un rapporto armonico con l’ambiente naturale, che già apparteneva all’essere umano.

“Lì nei boschi le miserie umane e l’egoismo lasciano il posto a un senso di appartenenza prossimo alla magia. A una totalità non meglio definita, di sicuro capace di sovrastare le banalità di un’esistenza piatta e convenzionale”

Rapporto che presuppone oltre a conoscenza, rispetto e reciprocità. Tra uomo e natura, infatti, c’è un continuo scambio di informazioni: le trasformazioni dell’uno si riflettono sull’altra e viceversa. In questo senso, l’apprendimento che può derivare dall’osservazione della natura, e delle foreste in particolare, è in grado di suggerire una forma di esistenza più essenziale, autentica e logica: quella che l’autore definisce “una vita in prospettiva ecologica”.

Ad esempio la capacità di recupero di un ecosistema forestale dopo un evento catastrofico (come  un incendio) tanto ha da insegnare sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei fattori di disturbo, non solo quelli fastidiosi che costringono a riorganizzarsi in qualche direzione ma anche quelli distruttivi, rispetto ai quali le foreste hanno saputo sviluppare strategie vincenti. Quello che in ecologia si definisce disturbo (fattore che altera la stabilità di un sistema) è quanto più la contemporaneità rifugge, dimenticandone il potenziale di risposta che arricchisce, migliora e induce nuovi equilibri, più funzionali del precedente (ci metterà il suo tempo ma un bosco distrutto dal fuoco ricresce, e lo farà mantenendo memoria di cosa e come ha avuto la meglio su di lui).

Nell’antichità poi, le foreste sono state luogo di culto e di mistero, associate alla religione e alla legge. La necessità era duplice: tutelare una risorsa preziosa per la sopravvivenza e rispondere al bisogno di sacro connaturato alla natura umana. Non è anacronistico pensare che le foreste e quel loro fascino rappresentino oggi l’occasione imperdibile di recuperare una memoria ancestrale, istintiva, quella che ci ricorda appunto di essere parte e non ospiti o padroni dell’ambiente che ci circonda. La chiave di volta sta nella consapevolezza:  bisogna essere consapevoli di dover tornare a parlare una lingua dimenticata e farlo con umiltà. La differenza la fa la parte di campo sulla quale si gioca, avversaria sfidante o alleata leale. Una responsabilità non da poco.

“Per gli alberi è differente, perché certe cose gli alberi ve le fanno vedere e voi potete toccarle con mano. Certe cose sono scritte, nel legno degli alberi. E gli alberi scrivono con estrema chiarezza, perché a dettare la scrittura c’è una mente che pensa in grande”

Gli alberi invece ruolo non l’hanno mai cambiato, se lo portano inscritto nel legno e gli sono restati intelligentemente fedeli.

Mentre l’umanità dimenticava, qualcosa continuava a riaffiorare e ne resta tuttora traccia nelle suggestioni che le foreste sono riuscite ad avere sull’immaginario, dalle incisioni rupestri, passando per le arti,  ai trekking organizzati di oggi. Le foreste sono state da sempre un richiamo, fortissimo, all’autenticità, alle cose come devono essere, contrapposte a modelli sociali corrotti e divoratori di risorse (e per questo di senso).  Sono state il rifugio di personaggi (reali o di fantasia) perdenti nel senso comune del termine, capaci di incarnare valori di giustizia e di libertà di cui solo la natura sembra serbare memoria e ai quali val la pena rivolgere il pensiero, ogni tanto.

“Le foreste, spesso, sono la casa dei perdenti – un genere particolare di perdenti: quelli che, al di là delle sconfitte cui sono destinati, coi loro sogni mandano avanti il mondo in cui viviamo”

Tutto questo e molto altro sta dentro il lavoro e la passione di Marco Paci, che all’ombra degli alberi ha insegnato a un numero indefinito di studenti la conoscenza e la meraviglia, mantenendo vivo un senso del sacro moderno, privo di riferimenti sovrannaturali ma tutto intriso di stupore e rispetto dinanzi alla perfezione e all’equilibrio della natura.

Saremo in grado di ascoltare qual che gli alberi hanno da dirci e giocare bene per non perdere questa occasione?

L’incontro del 20 Aprile ha tutti i presupposti per essere un buon punto di partenza.

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 Dalila Sansone
Abracadalbero

Dalila-Sansone_ConcretaMente

 

 

 

 

 

 

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