Di Lorena Pedulli
Oggi #InConcreto vi presenta Stefano Casi, autore poliedrico capace di produrre tante cose insieme. L’abbiamo conosciuto tramite la rubrica #profughi della sua pagina Facebook. Storie di uomini e donne che sono stati profughi, storie che ci ispirano e ci fanno credere nei nostri sogni: musica, letteratura, teatro, scienza, sport, etc. etc. Storie umane per chi umano vuol rimanere.
Segni Concreti raccoglie le storie pubblicate da Stefano nella pagina #profughi.
Quando e come è scattata la scintilla del teatro?
E’ la domanda più piacevole per chi si occupa di teatro, ma per quel che mi riguarda è invece la più imbarazzante, perché – contrariamente alle aspettative – la “scintilla” del teatro è scattata grazie alla televisione: insomma, se ho scoperto e amato il teatro, devo ringraziare il piccolo schermo, cioè lo strumento più alieno all’idea di teatro e, spesso, di cultura. Detta in breve, avevo 14 anni, vivevo in un paesino sperduto e lontano da tutto, e non ricordo per quale ragione (ma evidentemente avevo già una forte curiosità) rimasi sveglio da solo fino a tardi per poter vedere un “Amleto” nei meravigliosi venerdì della Rai dedicati alla prosa: quello spettacolo (la regia era di Maurizio Scaparro) mi folgorò, il giorno dopo corsi nella libreria di una cittadina vicina per comprarmi 3 o 4 libri di Shakespeare che lessi avidamente, e da allora decisi, quando possibile, di andare a vedere direttamente dal vivo gli spettacoli, partendo da solo la domenica pomeriggio per fare un’ora di treno e arrivare al teatro più vicino. Mi vergogno un po’ a pensare che questa passione sia partita dal tubo catodico, ma penso anche a quale importanza abbia avuto la televisione per tante persone come me e a come questa identità della televisione come reale servizio pubblico sia stata col tempo dilapidata.
Che importanza ha la parola nel tuo lavoro e vita?
Per me, la parola è tutto: in principio era il Verbo, no? La parola interpreta e plasma, per questo è al tempo stesso uno strumento prezioso e pericoloso. Non riesco quasi mai a considerarla con leggerezza: dietro ogni parola avverto sempre una densità che mi porta a darle un valore assoluto. Per questo sto sempre molto attento quando scrivo e quando leggo. Per questo sono sconvolto dall’uso superficiale della parola nei social e in molti media. Per questo, prima di scrivere, valuto sempre se ha davvero senso aggiungere parole in questo mondo di chiacchiere: spesso scrivo post, credo anche molto interessanti, e poi li cancello prima di pubblicarli, per sottrarmi al bisogno di dire qualsiasi cosa e limitarmi a ciò che davvero non può non essere detto.
Chi è stato Pasolini e che messaggio ha lasciato?
Anche Pasolini è stata una mia ‘scoperta’ adolescenziale, che è poi diventato un “luogo mentale” a cui tornare, dalla tesi universitaria ai diversi libri che ho scritto. Pasolini è stato un intellettuale che ha saputo osservare e interpretare la realtà che gli stava attorno: detta così sembra poco, ma in realtà è stupefacente, perché è difficile osservare con occhi ‘puri’ e ancor più difficile è capire e raccontare ciò che hai osservato. Pasolini l’ha fatto, diventando la coscienza critica di questo Paese e della società moderna basata sul consumismo. Ma è stato davvero tante altre cose, rischio di essere logorroico quando inizio a parlare di lui…
Perché una rubrica sui profughi?
E’ nato tutto come reazione al clima di odio verso i migranti alimentato dal ministro Salvini, in particolare dopo la cosiddetta “chiusura” dei porti alle navi delle ong. Casualmente ho trovato scritto da qualche parte che Chagall era stato un rifugiato. Non lo sapevo. E se non lo sapevo io, probabilmente neanche altri. Questo si è sovrapposto a un mio pensiero fisso da anni, e cioè l’idea che il figlio di un qualche migrante, arrivato da un qualche paese disperato e che per anni ha venduto accendini per strada e mendicato un posto dove dorrmire, possa diventare un futuro scienziato che trova la cura per debellare le peggiori malattie. E allora ho pensato di fare qualche post (all’inizio pensavo a una decina) unendo la curiosità per nomi famosi alla loro condizione di persone in fuga da un pericolo in un’altra nazione. Alla fine i nomi erano davvero tanti, insospettabili ed emozionanti. E si è trasformato in un lungo viaggio che ho deciso di terminare al numero 100.
Quale è il messaggio?
Il messaggio sta nei tre hashtag – sempre gli stessi – che accompagnano ogni post. Il primo è #apriamoiporti, e quindi un invito all’accoglienza di chi arriva nel nostro Paese, o meglio, di chi su questa Terra che è di tutti è costretto a spostarsi per migliorare la propria vita. Il secondo è #apriamolementi perché le cose vanno viste con apertura mentale, senza farci ingabbiare da stereotipi e pregiudizi, ma lasciandoci invadere dalle sorprese e dalle opportunità, con intelligenza e solidarietà. Il terzo è #apriamoilfuturo, cioè quello che dicevo prima: non possiamo continuare a vedere i migranti come un problema o come un attentato al nostro benessere di Paese che è tra le più grandi potenze economiche mondiali, ma come opportunità di crescita, come rilancio verso un futuro che non è solo di chi ha la pelle bianca e il passaporto di un certo tipo, ma di chi condivide su questo pezzetto di terra la sfida per una vita sempre migliore per tutti.
Cosa vuol dire profugo per Stefano Casi?
Nel mio album ho usato la parola “profugo” nel senso istituzionale del “rifugiato”, cioè chi fugge dal proprio Paese per una situazione di pericolo di vita (per la guerra o le persecuzioni). Ma personalmente non amo la distinzione tra il “richiedente asilo” e il “migrante economico”, che quasi sempre fugge da condizioni di povertà o necessità indotte da eventi innescati da scelte politiche devastanti e altrettanto spesso causate da responsabilità del mondo occidentale. Poi, certo, potrei dire che siamo tutti profughi su questa Terra: modo suggestivo ma fin troppo facile di dire come l’umanità è una sola, senza confini.
Quale significato che dà Stefano alla vita?
Domanda difficilissima! In realtà non le do un significato: la vita è. E questo è già tanto, è tutto.
Cosa vuol dire sognare?
Quando si dorme, il sogno è una rivelazione indecifrabile. In questo senso, anche – per dire – il sogno di un mondo migliore è una rivelazione, le cui strade sono indecifrabili, ma che vale la pena cercare.
Cos’è l’indifferenza?
Risponderò non da un punto di vista etico (che vorrei dare per scontato), ma – diciamo così –antropologico. E’ un istinto primordiale di sopravvivenza che aiuta l’uomo in alcuni momenti ad andare avanti nell’immediato. Ma nella nostra epoca la sfida non può più essere sull’immediato, bensì sul futuro: e per costruire il futuro l’indifferenza è un autogol.
Cosa vuol dire collaborazione per Stefano?
Ecco, da un certo punto di vista lo definirei il segno contrario dell’indifferenza.
Quali letture, quali film e che opere teatrali consiglieresti?
Non me la sento di dare consigli di questo tipo, rischierei di rifare la biblioteca di Babele, per dirla con Borges. Ma se proprio vogliamo, anche ritornando a una delle mie prime folgorazioni, mi piace ricordare Amleto, che traduco per voi in maniera appositamente un po’ più libera del solito, invitando a trovare nei grandi classici sensi nascosti per le nostre vite attuali: “Essere o non essere: questo è il problema. E’ più umano tormentarsi per le avversità del destino oltraggioso o affrontare quel mare doloroso, attraversarlo combattendo, per porre fine alla sofferenza?”.
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