Di Lorena Pedulli Oggi #InConcreto vi presenta Stefano Casi, autore poliedrico capace di produrre tante cose insieme. L’abbiamo conosciuto tramite la rubrica #profughi della sua pagina Facebook. Storie di uomini e donne che sono stati profughi, storie che ci ispirano e ci fanno credere nei nostri sogni: musica, letteratura, teatro, scienza, sport, etc. etc. Storie umane per chi umano vuol rimanere. Segni Concreti raccoglie le storie pubblicate da Stefano nella pagina #profughi. Quando e come è scattata la scintilla del teatro? E’ la domanda più piacevole per chi si occupa di teatro, ma per quel che mi riguarda è invece la più imbarazzante, perché – contrariamente alle aspettativ
di Modar Alali Quanti ricordi sono legati ad una canzone ascoltata per caso; oppure ad una frase di un film; una battuta sentita per la strada… Quanti collegamenti ci riportano, e quanto ci dicono!!! E allora: “Porgimi il flauto e tu canta perché il canto è il segreto dell’eternità” cosi dice Khalil Gibran; invece i greci dicono: Tu dammi il pane che io ti do l’Arte Ho scelto i miei contributi (post) nello spirito del mio quotidiano, sognando molto e Vivendo bene!!! Modar Domenica 5 Agosto Un desiderio LA PACE. (I Love Syria) dj Modar Alali C’era una gran festa nella capitale perché la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a
Abdou Diouf Il bel Paese Sono passati quasi sei mesi dalla mia laurea e dopo tutto continuo a cercare il bello di questo paese. Qualcosa che mi convince a restare qua. Ancora. Mi ostino, mi ci arrabbio, m’incazzo e mi chiedo che ne sarà di me e della mia laurea, del tempo e dei soldi investiti nell’Università Italiana. Che ne sarà di tutto quello che mi ha dato questo paese e che piano piano mi sta togliendo? Poi penso agli Uffizi, a Roma, alle Alpi, alla letteratura, ai cantautori, al cinema degli anni Cinquanta, ai partigiani e alle loro storie così tristi, ma così romantiche, a tutto quello che in questo dannato e meraviglioso stivale sgualcito resiste e decido che dovrei cerc
El racismo y yo Di Nadia Ayvar Iparraguirre* El primer recuerdo que tengo de aprender que lo negro no era bueno fue cuando de pequeña una niña de mi colegio me dijo ‘negra’, yo tendría entre 5 o 6 años y para entonces aún no éramos amigas, por el contrario, estábamos en medio de una rivalidad. Por aquella misma época mi tía le decía a mi madre ‘negra’ y se sentía bien, se sentía el cariño de mi tía; pero por algún motivo el ‘negra’ de mi compañerita no era lo mismo, tenía una carga negativa, parecía que usando esa palabra ella quería herirme. Paralelamente, mientras crecía veía dibujos donde no había mujeres de piel oscura, las muñecas tampoco lo eran y en la publicidad las modelos nu
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