Dalila Sansone
“ (…) Allora fai quello che veramente hai pensato: prendi un vecchio cappello a falde tese, nero, infili nella fascia di raso una piuma azzurra che strappi all’acchiappasogni appeso allo stipite della porta, lo metti in testa, sbirci di nuovo lo specchio, respiri forte e cominci a scrivere. Questo è uno dei tanti vantaggi della solitudine: non dover rendere conto a nessuno di cosa indossi. Hai imparato a costruire il mondo con le tue mani”
Michele Marziani, Il suono della solitudine_Ediciclo Editore 2018
E’ il titolo di un libricino che puoi portare dietro come un taccuino, un appunto, un oggetto che finisce con l’appartenerti e si confonde tra le cose dentro la borsa, tant’è che puoi lasciarcelo: occupa poco spazio ma ci sta qualcosa di te o di chi hai conosciuto. Serve portarsi dei pezzi dietro, serve a ricordare, persino a incontrarsi.
Serve come il nodo di un filo che lega il palloncino al polso.
Sottotitolo “Piccole cose da raccontare a te stesso”. Storie sulla solitudine, sulla geografia interiore di una dimensione fatta di dettagli e di percorsi, un raccontare la mappa dell’approdo. Si perché l’immagine della solitudine che traccia Marziani è quella di un approdo nelle acque di un mare interiore su cui si scivola, pur sempre in balìa delle condizioni esterne, attraversando e guardando dal di fuori l’inquietudine che fa della propria diversità una colpa fino all’assoluzione, un esercizio costante di autoassoluzione.
E che suono fa la solitudine?
Michele Marziani scioglie un nodo, sgranando il rosario dei solitari, di quanti per distrazione capita osservino la strada accumulata dietro ai talloni esattamente lì, da quel punto di osservazione privilegiato che è una vita solitaria.
“Non si può essere solitari se non ci si riesce a guardare da fuori, da un’altra distanza”
Allora lei, la solitudine, fa tutt’uno con l’approdo, rassegnazione solo apparente alla propria natura, percepita come errata in un qualche tempo passato e poi nemmeno troppo capita, semplicemente accettata; è distacco dal superfluo, sacralità di riti personali che sono, esistono, senza costrutti. Si delineano in questo spazio a-geografico quasi fossero personaggi sulla scena, quasi la scena stessa diventasse personaggio e il solitario lo spazio della rappresentazione.
E’ approdo dinamico però la solitudine, dalla bellezza “appesa a un filo di ragnatela”, un esercizio di equilibri in bilico sulla corda del dubbio, attenta ad avvertire il peso dei passi, vigile nell’intuire lo sbilanciamento impercettibile da cui dipende il limite che fa la differenza tra l’altezza e il baratro. Estrema consapevolezza, estremo rischio.
Ma non è scelta la solitudine dunque, è propensione, indole intenta a cercare riparo dalle convenzioni, da quei riti che personali non sono, dalle necessità condizionate. Cerca spazio il solitario, spazio che ricava per sottrazione, rimuovendo, educandosi al distacco dove non può esserci piena presenza.
Rimozione, distanza, presenza: i tre grani del rosario.
Affiorano lattiginose il cosa e il come sono la solitudine, sospese e sospette come è l’attitudine ad una capacità di visione meno distratta, concentrata a cogliere (forse anche trattenere) il residuo di tutte le cose, la traccia sommersa che un posto troppo affollato nasconderebbe.
Parrebbe un resoconto invischiato di malinconia trasposta in esperienza vissuta, ma non riesce ad esserlo, essendone precisamente l’opposto. E’ lucidità capace di guardare distintamente all’intero spettro delle emozioni, con pari dignità.
La “realtà” delle solitudini traspare nel rapporto che sai avere con il vino, dice l’autore. La consapevolezza si riconosce sulle labbra appoggiate all’orlo di un bicchiere e si scioglie a contatto col calore del contenuto e lì trova requie, che sia sullo sfondo di una stanza vuota o specchiandosi nello spazio finito ma privo di restrizioni degli occhi di un altro. La solitudine è consapevolezza che non annega mai dimentica nella forma meno elegante di un bottiglione, annaspando in masse di liquido condannato a diventare indistinto.
Ecco che suono fa la solitudine, quello di un buon vino versato senza fretta, quando il gesto si compie nella sua interezza e ne resta tutto il movimento dentro al bicchiere. Darsi forma con eleganza.
Si sente solo dall’interno: è il rumore che fa esercitarsi continuamente alla libertà. Lo si fa da soli, lo si fa senza necessità di essere capiti per essere compresi.
Lo si fa anche con una piccola àncora da tenere in borsa e poter stringere di tanto in tanto tra le mani.
Michele Marziani sarà ospite della Feltrinelli Point di Arezzo il 10 ottobre alle ore 18:00. Segni Concreti in collaborazione con la libreria vi invitano all’incontro con l’autore e le sue parole.
Dalila Sansone
Abracadalbero